Skip to content

Infarto cardiaco: sintomi e prevenzione

L’infarto cardiaco rappresenta una delle emergenze mediche più gravi e una delle principali cause di morte nel mondo occidentale. Questa condizione, tecnicamente chiamata infarto miocardico, si verifica quando il flusso sanguigno verso una parte del muscolo cardiaco viene improvvisamente interrotto, causando danni irreversibili al tessuto cardiaco. Comprendere cos’è l’infarto, riconoscerne i sintomi e sapere come agire tempestivamente può fare la differenza tra la vita e la morte.

Cos’è l’infarto cardiaco

L’infarto cardiaco è la morte di una porzione del muscolo cardiaco (miocardio) causata dall’interruzione dell’apporto di sangue e ossigeno. Questa interruzione avviene tipicamente a causa dell’occlusione di una o più arterie coronarie, i vasi sanguigni che nutrono il cuore stesso. Il tessuto cardiaco privato di ossigeno va incontro a necrosi in tempi relativamente brevi, generalmente entro 20-40 minuti dall’inizio dell’occlusione.

Il meccanismo più comune che porta all’infarto è la rottura di una placca aterosclerotica all’interno di un’arteria coronaria. Queste placche sono accumuli di grassi, colesterolo, calcio e altre sostanze che si depositano progressivamente sulle pareti arteriose nel corso degli anni. Quando una placca si rompe, si forma rapidamente un coagulo di sangue (trombo) che può occludere completamente l’arteria.

L’infarto cardiaco può essere classificato in diverse tipologie in base all’estensione del danno e alle caratteristiche elettrocardiografiche. L’infarto STEMI (ST-elevation myocardial infarction) presenta elevazione del tratto ST all’elettrocardiogramma e indica un’occlusione completa dell’arteria coronaria. L’infarto NSTEMI (non-ST-elevation myocardial infarction) è caratterizzato da un’occlusione parziale dell’arteria e generalmente causa danni meno estesi ma comunque significativi.

Sintomi dell’infarto cardiaco

I sintomi dell’infarto cardiaco possono variare considerevolmente da persona a persona, ma esistono manifestazioni caratteristiche che dovrebbero sempre allertare e richiedere intervento medico immediato. Il sintomo più tipico e riconoscibile è il dolore toracico intenso, spesso descritto come una sensazione di oppressione, peso o morsa al centro del petto.

Questo dolore può irradiarsi verso il braccio sinistro, la spalla, il collo, la mandibola o la schiena. In alcuni casi, il dolore può manifestarsi principalmente in queste sedi “riflesse” piuttosto che al petto. La caratteristica distintiva del dolore da infarto è la sua intensità, durata (generalmente superiore ai 20 minuti) e il fatto che non migliora con il riposo o con i farmaci per il dolore comune.

Altri sintomi frequenti includono sudorazione profusa e fredda, nausea e vomito, sensazione di svenimento o vertigini, difficoltà respiratoria e ansia intensa con sensazione di morte imminente. Alcuni pazienti riferiscono anche bruciore di stomaco intenso, che può essere confuso con problemi gastrici.

È importante sottolineare che esistono presentazioni atipiche dell’infarto, soprattutto nelle donne, negli anziani e nei diabetici. In questi casi, i sintomi possono essere più sfumati e includere affaticamento estremo, nausea predominante, dolore alla schiena o al braccio destro, o semplicemente una sensazione di malessere generale. Queste presentazioni atipiche rendono la diagnosi più difficile ma non meno urgente.

Cause e fattori di rischio

Le cause dell’infarto cardiaco sono prevalentemente legate all’aterosclerosi, un processo di accumulo di placche nelle arterie coronarie che si sviluppa nel corso di decenni. Tuttavia, esistono fattori di rischio che accelerano questo processo e aumentano significativamente la probabilità di sviluppare un infarto.

I fattori di rischio non modificabili includono l’età (il rischio aumenta dopo i 45 anni negli uomini e dopo i 55 nelle donne), il sesso maschile (gli uomini hanno un rischio maggiore, almeno fino alla menopausa femminile) e la familiarità per malattie cardiovascolari. La predisposizione genetica gioca un ruolo importante, specialmente quando esistono casi di infarto precoce in famiglia.

I fattori di rischio modificabili sono numerosi e rappresentano i target principali della prevenzione. Il fumo di sigaretta è uno dei più potenti fattori di rischio, aumentando di 2-4 volte la probabilità di infarto. L’ipertensione arteriosa, il diabete mellito e la dislipidemia (livelli elevati di colesterolo “cattivo” LDL e bassi livelli di colesterolo “buono” HDL) sono altri fattori cruciali.

L’obesità, soprattutto quella addominale, la sedentarietà, lo stress cronico, l’abuso di alcol e l’uso di droghe stimolanti come la cocaina rappresentano ulteriori fattori di rischio significativi. Anche alcune condizioni infiammatorie croniche e l’apnea notturna possono aumentare il rischio cardiovascolare.

Diagnosi dell’infarto cardiaco

La diagnosi dell’infarto cardiaco si basa sulla combinazione di sintomi clinici, alterazioni elettrocardiografiche e aumento dei marcatori cardiaci nel sangue. L’elettrocardiogramma (ECG) rappresenta il primo esame diagnostico da eseguire e deve essere effettuato entro 10 minuti dall’arrivo in ospedale.

I marcatori cardiaci, in particolare la troponina, sono proteine che vengono rilasciate nel sangue quando il muscolo cardiaco subisce danni. L’aumento della troponina conferma la presenza di danno miocardico, ma questo esame richiede alcune ore per positivizzarsi, quindi non deve ritardare il trattamento urgente.

L’ecocardiogramma può mostrare alterazioni della contrattilità cardiaca nelle zone colpite dall’infarto e aiuta a valutare l’estensione del danno e la funzione cardiaca residua. Nei casi complessi o quando la diagnosi non è chiara, possono essere necessari esami più avanzati come la risonanza magnetica cardiaca o la coronarografia.

La coronarografia, un esame che visualizza le arterie coronarie mediante l’iniezione di mezzo di contrasto, rappresenta il gold standard per identificare la localizzazione e l’estensione delle ostruzioni coronariche. Questo esame non solo conferma la diagnosi ma permette anche il trattamento immediato attraverso l’angioplastica.

Trattamento dell’infarto cardiaco

Il trattamento dell’infarto cardiaco rappresenta una vera e propria corsa contro il tempo, poiché ogni minuto di ritardo aumenta l’estensione del danno miocardico irreversibile. Il concetto fondamentale è “time is muscle”: più velocemente si ripristina il flusso sanguigno nell’arteria occlusa, maggiore è la quantità di muscolo cardiaco che può essere salvata.

L’angioplastica coronarica primaria rappresenta il trattamento di scelta per l’infarto STEMI quando disponibile entro 90-120 minuti dall’arrivo in ospedale. Questa procedura prevede l’apertura dell’arteria occlusa mediante un catetere con palloncino e il posizionamento di uno stent per mantenerla aperta. L’angioplastica primaria ha dimostrato di ridurre significativamente la mortalità e le complicazioni rispetto ad altri trattamenti.

Quando l’angioplastica non è disponibile tempestivamente, può essere utilizzata la terapia trombolitica (fibrinolisi), che consiste nella somministrazione endovenosa di farmaci che dissolvono il coagulo responsabile dell’occlusione. Questo trattamento deve essere iniziato entro 12 ore dall’insorgenza dei sintomi per essere efficace.

La terapia farmacologica di supporto include aspirina, che riduce l’aggregazione piastrinica, beta-bloccanti per ridurre il lavoro cardiaco, ACE-inibitori per proteggere la funzione cardiaca e statine per stabilizzare le placche aterosclerotiche. Questi farmaci vengono generalmente continuati a lungo termine per prevenire ulteriori eventi cardiovascolari.

Complicazioni dell’infarto cardiaco

L’infarto cardiaco può causare diverse complicazioni, sia acute che croniche, che influenzano significativamente la prognosi del paziente. Le complicazioni acute possono verificarsi nelle prime ore o giorni dopo l’infarto e richiedono spesso interventi urgenti.

L’aritmia è una delle complicazioni più comuni e può variare da extrasistoli benigne a aritmie ventricolari maligne come la fibrillazione ventricolare, che può essere fatale se non trattata immediatamente. I disturbi della conduzione, come i blocchi atrioventricolari, possono richiedere l’impianto temporaneo o permanente di un pacemaker.

Lo shock cardiogeno rappresenta la complicazione più grave e si verifica quando il cuore non riesce più a pompare sangue sufficiente per mantenere la circolazione. Questa condizione ha una mortalità molto elevata e richiede supporto con farmaci inotropi, dispositivi di assistenza meccanica o trapianto cardiaco urgente nei casi più gravi.

Le complicazioni meccaniche includono la rottura del setto interventricolare, dell’apparato valvolare mitralico o della parete libera del ventricolo. Queste complicazioni sono rare ma spesso fatali e richiedono intervento cardiochirurgico d’urgenza.

A lungo termine, l’infarto può portare a insufficienza cardiaca cronica, aneurismi ventricolari e aumentato rischio di ulteriori eventi cardiovascolari. La riabilitazione cardiaca e il controllo rigoroso dei fattori di rischio sono fondamentali per prevenire queste complicazioni croniche.

Prevenzione dell’infarto cardiaco

La prevenzione dell’infarto cardiaco si basa sul controllo dei fattori di rischio modificabili e sull’adozione di uno stile di vita cardioprotetivo. La cessazione completa del fumo rappresenta la misura preventiva più efficace, con benefici che iniziano già nelle prime 24 ore e continuano a crescere nel tempo.

Il controllo della pressione arteriosa attraverso modifiche dello stile di vita e, quando necessario, farmaci antipertensivi, può ridurre drasticamente il rischio cardiovascolare. L’obiettivo è generalmente mantenere la pressione al di sotto di 140/90 mmHg, o valori ancora più bassi in presenza di diabete o malattie renali.

La gestione del colesterolo include una dieta povera di grassi saturi e trans, ricca di fibre e omega-3, e l’uso di statine quando i livelli di colesterolo LDL rimangono elevati nonostante le modifiche dietetiche. L’obiettivo per il colesterolo LDL varia in base al rischio cardiovascolare individuale.

L’esercizio fisico regolare, almeno 150 minuti di attività moderata o 75 minuti di attività intensa a settimana, ha effetti protettivi multipli: migliora la funzione cardiaca, riduce la pressione arteriosa, controlla il peso e migliora il profilo lipidico. Anche il controllo del peso corporeo e la gestione dello stress attraverso tecniche di rilassamento o supporto psicologico contribuiscono alla prevenzione.

Per i pazienti ad alto rischio o con precedenti eventi cardiovascolari, può essere indicata la prevenzione farmacologica con aspirina a basse dosi, che riduce significativamente il rischio di infarto ricorrente. La terapia deve sempre essere personalizzata in base al profilo di rischio individuale e alle condizioni cliniche del paziente.